Dal gennaio del 2022 l’Italia continentale convive con la Peste suina africana (PSA). Pur non infettando l’uomo o altri animali, l’agente causale della malattia, un complesso virus facente parte di una famiglia a sé stante (Asfarviridae – genere Asfivirus, letteralmente “unico nel suo genere”) e per il quale non esiste un vaccino, può essere altamente patogeno per maiali e cinghiali. L’eradicazione della PSA, ovvero l’eliminazione del virus –e conseguentemente della malattia da questo causata– dal territorio nazionale, è molto complessa e necessita del contributo di tutti. Eradicare una malattia del calibro della PSA è fondamentale per tutelare i suini e per l’economia del Paese, essendo la sua presenza causa di alterazioni dei mercati tra Stati membri e, ancor più, alla base di importanti limitazioni o addirittura chiusure delle importazioni di carni suine italiane da parte dei Paesi terzi.
Gli aggiornamenti sullo status sanitario per PSA (“Zone libere”, “Zone soggette a restrizione di tipo I, II e III”) dei territori italiani ed esteri sono consultabili rispettivamente ai seguenti link:
Quindi, cosa puoi fare tu?
L’ASL CN1, sulla base di indicazioni regionali, ha adottato misure finalizzate a ridurre il rischio di diffusione della PSA, che includono corresponsioni economiche in caso di:
Di seguito, puoi trovare la procedura e la documentazione necessarie per l’erogazione della compensazione.
La Peste suina africana (PSA) è una malattia virale altamente contagiosa che colpisce esclusivamente i suidi, sia domestici che selvatici (maiali, cinghiali e loro ibridi). Identificata per la prima volta agli inizi del ‘900 nei territori che oggi corrispondono al Kenya, è rimasta confinata in Africa per oltre mezzo secolo; da allora ha avuto inizio l’inesorabile espansione cosmopolita della PSA. Il temuto virus ha fatto la sua comparsa in Italia continentale nel gennaio del 2022 nell’Alessandrino, diffondendosi progressivamente soprattutto nelle popolazioni di suini selvatici, ma anche –in misura largamente minore– causando focolai negli animali domestici (aziende suinicole), attraverso due principali modalità: (1) la diffusione cosiddetta “a onde epidemiche”, per contiguità territoriale, che si realizza per contatto diretto o indiretto tra cinghiali e/o maiali che albergano il virus (infetti) e che non vi sono venuti a contatto (non infetti); un’altra e più insidiosa via di propagazione, talora a notevole distanza, della PSA è (2) quella legata al “fattore umano”: le particelle virali, estremamente resistenti, possono essere passivamente veicolate dall’uomo attraverso vestiario e/o attrezzature (da caccia, trekking, campeggio, ecc.) oppure con il trasporto di derrate alimentari di origine suina contaminate.
Che la PSA venga trasmessa da suino a suino, da territori con circolazione virale verso territori ancora liberi, o dall’escursionista con le sue calzature intrise di secreti o escreti lasciati nel bosco da un animale infetto o che arrivi con un salame nella valigia di un viaggiatore, il risultato è inevitabilmente la diffusione del patogeno verso nuovi areali o, peggio, il suo ingresso negli allevamenti. Difatti, oltre a minare la sanità e il benessere animale, producendo gravi sofferenze agli animali colpiti e una mortalità nei maiali che sfiora l’intero effettivo aziendale, e la biodiversità zootecnica, la PSA –per la quale non esistono tuttora vaccini o terapie efficaci– causa ingenti perdite economiche per la filiera suinicola. L’industria in questione, di spicco su scala mondiale, in particolare per le produzioni a marchio, è posta a rischio dalla presenza della malattia sui territori nostrani: l’export verso Paesi terzi ha subìto numerose restrizioni o addirittura chiusure dei mercati.
La sfida che i Servizi veterinari, di concerto con allevatori, operatori del settore suinicolo, cacciatori e tutti gli altri attori coinvolti a vario livello, si trovano ad affrontare è essenzialmente da disputare su due fronti:
Anche ai fini di cui sopra, risultano di cruciale importanza le attività di formazione e informazione all’utenza più ampia possibile: garantire la preparazione e l’aggiornamento tecnico-scientifico del personale afferente agli Enti preposti alla sorveglianza, al controllo e all’eradicazione della PSA, nonché accrescere la consapevolezza della cittadinanza in generale, sono azioni che possono largamente contribuire ad un efficace contrasto alla malattia.
(Per ulteriori informazioni si veda Attività sul territorio ASL CN1)
La normativa unionale, in caso di riscontro di positività a PSA, prevede l’istituzione di aree geografiche in cui l’attività di sorveglianza è intensificata e le attività umane vengono disciplinate sulla base della situazione epidemiologica e dell’attribuzione di un livello di rischio locale legato principalmente al potenziale di diffusione del virus. Ai fini della sorveglianza e del controllo della circolazione virale, si riconoscono:
Tali zone sono modulate sulla base delle caratteristiche orografiche del territorio, dei confini amministrativi e di specifiche esigenze locali, e sono “dinamiche” ossia vengono modificate sulla base dell’eventuale riscontro di nuove positività ai test per l’accertamento della presenza del virus (o, viceversa, del mancato riscontro del patogeno). La Commissione europea richiede agli Stati membri l’applicazione di misure speciali di controllo della PSA che devono essere applicate per un periodo di tempo limitato. Le zone soggette a restrizione I, II e III, appunto, periodicamente aggiornate, vengono elencate per Paese, Regione, Provincia e Comune in appositi Regolamenti di esecuzione della Commissione europea.
VERIFICHE DELLE MISURE DI BIOSICUREZZA IN ALLEVAMENTO
La biosicurezza rappresenta lo strumento più efficace, insieme alla profilassi, in mano agli operatori per difendere gli allevamenti dagli organismi patogeni, tra cui la PSA.
Tra le misure di biosicurezza vengono individuate quelle di tipo:
Dall’inizio dell’emergenza PSA il Servizio veterinario dell’ASL CN1 ha effettuato i controlli per la verifica del rispetto dei requisiti di biosicurezza rispondenti al D.M. 28/06/2022 e all’Allegato III del regolamento di esecuzione (UE) 2023/594 (per le ZR) in tutti gli allevamenti suini presenti sul territorio di competenza almeno una volta (su un totale di circa 700 allevamenti), attività tutt’ora in corso sulla base di una programmazione ministeriale e regionale.
SORVEGLIANZA PASSIVA SULLE POPOLAZIONI DI SUINI SELVATICI
Uno degli elementi più importanti ai fini dell’eradicazione di una malattia come la PSA è l’early detection, ossia il rilevamento precoce del patogeno in un dato territorio o ambiente, andando a testare gli animali morti per confermarne o meno la presenza; questa pratica rientra nella cosiddetta Sorveglianza passiva.
La sorveglianza passiva per PSA si effettua prelevando la milza, come organo di elezione e in subordine ulteriori matrici (rene, linfonodi, midollo osseo, ecc.), dai cinghiali rinvenuti morti sul territorio e da quelli cacciati o abbattuti in Zone di restrizione.
SORVEGLIANZA PASSIVA NEL SUINO DOMESTICO
La sorveglianza passiva viene effettuata sul suino domestico testando settimanalmente, in Zona indenne dalla malattia, gli animali morti (i primi due riscontrati) negli allevamenti classificati più a rischio, ricadenti nei Comuni più a rischio individuati dall’Osservatorio epidemiologico veterinario regionale (OEVR) e in tutti gli allevamenti di tipo semibrado e gli animali morti in tutti gli allevamenti ricadenti nelle Zone di restrizione.
Inoltre vengono testati tutti i sospetti (così come definiti all’art. 9, par. 1 del regolamento delegato (UE) 2020/689), cioè suini con sintomatologia riconducibile a PSA.
Per ulteriori dettagli sulle modalità di attuazione della sorveglianza si rimanda alla sezione Approfondimenti, link e risorse utili.
CONTROLLI PRE MOVING
Le attuali disposizioni prevedono, per le zone di restrizione, che le movimentazioni dei suini siano subordinate al rispetto di alcuni requisiti, tra cui:
DEPOPOLAMENTO DEI SUINI SELVATICI
In riferimento al “Piano Straordinario di catture, abbattimento e smaltimento dei cinghiali (Sus scrofa) e Azioni Strategiche per l’elaborazione dei Piani di Eradicazione nelle zone di restrizione da peste suina africana anni 2023-2028” e s.m.i., predisposto ai sensi della legge 10 agosto 2023 n. 112, art. 29, di cui alla presa d’atto della Conferenza Stato-Regioni resa nella seduta del 6 settembre 2023 (Rep. atti n. 200/CSR del 6 settembre 2023), e in conformità al regolamento delegato (UE) 2020/687 e al regolamento di esecuzione (UE) 2023/594, l’attività di depopolamento dei cinghiali selvatici ai fini dell’eradicazione della PSA risulta tra gli interventi prioritari.
L’esercizio venatorio e di controllo faunistico verso la specie cinghiale viene autorizzato, vietato o modulato nel rispetto della normativa del settore, della situazione epidemiologica e di specifiche esigenze territoriali locali, valutate di volta in volta. Tali valutazioni, anche in merito alla concessione di eventuali deroghe alla disciplina specifica, vengono effettuate dalla Struttura commissariale alla PSA sentito l’apposito Gruppo operativo degli esperti (GOE) sulla base della disponibilità dei dati di sorveglianza.
Tutto il personale che svolge attività di controllo faunistico in contesti territoriali “particolari” (zone soggette a restrizione e “zona di controllo dell’espansione virale” o “zona CEV”) o attività venatoria verso la specie cinghiale (in zona soggetta a restrizione di tipo I), deve possedere apposita formazione in materia di biosicurezza nella gestione dei cinghiali selvatici tenuta dall’ASL. Lo stesso personale afferente all’ASL assicura che tali attività avvengano nella rigorosa osservanza di specifiche misure di biosicurezza e che venga rispettato il divieto di movimentazione al di fuori delle zone soggette a restrizione, di carne, di prodotti a base di carne, di trofei e di ogni altro prodotto ottenuto da suini selvatici abbattuti in tali zone – salvo deroghe concesse dalla Regione previo invio ad uno stabilimento di trasformazione (ove vengano impiegati trattamenti di riduzione dei rischi di cui all’allegato VII del regolamento delegato (UE) 2020/687, a seguito di esito negativo al test di laboratorio per ricerca del virus della PSA e, comunque, nel rispetto delle condizioni generali e specifiche previste dal regolamento di esecuzione (UE) 2023/594).
Ai fini della riduzione della popolazione di cinghiali selvatici nei territori indenni da malattia (non ricadenti nelle zone soggette a restrizione e nella Zona CEV) la Regione attraverso i “Piani regionali interventi urgenti” (PRIU) attua il Piano straordinario di catture, abbattimento e smaltimento dei cinghiali di cui al primo paragrafo del presente capitolo, con rimodulazione annuale dei target numerici a seguito dell’analisi dei risultati ottenuti negli anni precedenti.
Sono in capo all’ASL, in quanto riferiti ad attività di sanità pubblica veterinaria, i costi sostenuti per:
L’ASL vigila altresì sul corretto smaltimento dei sottoprodotti di origine animale derivanti dagli animali abbattuti: i visceri devono essere stoccati in contenitori a tenuta, non accessibili ad animali e devono essere sistematicamente inviati, con le modalità previste dal regolamento (CE) 1069/2009, a impianti di smaltimento.
Ulteriori approfondimenti relativi ad aggiornamenti normativi nazionali e regionali in merito alle attività di depopolamento, ai dati circa gli abbattimenti di cinghiali e alle zone infette sono disponibili al seguente link.
ATTIVITÀ DI RICERCA RINFORZATA DELLE CARCASSE DI SUINI SELVATICI
La Regione, con il coordinamento della Struttura commissariale alla PSA, programma e monitora la ricerca rinforzata delle carcasse di suini selvatici, attività fondamentale ai fini del controllo e dell’eradicazione della PSA, dando priorità alle Zone CEV, in particolare dove non sono ancora state riscontrate carcasse positive, applicando lo schema operativo di cui al Piano nazionale di sorveglianza ed eradicazione per la peste suina africana in Italia e le indicazioni tecniche delle Struttura commissariale, sentito il GOE.
La ricerca rinforzata deve essere svolta in modo mirato (prediligendo i corridoi ecologici, le aree ad alta densità di cinghiali, i corsi d’acqua e i fondo-valle), avvalendosi di personale appositamente dedicato afferente all’ASL, delle Forze armate, e coinvolgendo le associazioni venatorie e di volontariato attive sul territorio previa adeguata formazione da parte dell’ASL.
Ogni singolo cinghiale morto o moribondo, catturato e abbattuto nelle zone soggette a restrizione e nella Zona CEV, deve essere testato per PSA. Le carcasse degli animali morti (o moribondi) devono essere smaltite secondo il regolamento (CE) 1069/2009 – recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano.
Qualora le condizioni geologiche lo consentano, previa autorizzazione dell'ASL, è consentito l'interramento in loco dei capi ritrovati morti.
FORMAZIONE E INFORMAZIONE
Uno dei capisaldi in tema di sanità animale, sicurezza alimentare e sanità pubblica in senso lato è quello della formazione e dell’informazione. Accrescere il livello di conoscenza tecnico-scientifica in materia di PSA di tutto il personale coinvolto a vario titolo nella sorveglianza, nel controllo e nell’eradicazione della malattia, ma anche sensibilizzare la cittadinanza, continua ad essere uno degli scopi fondamentali della strategia di contrasto alla diffusione del virus.
I Servizi veterinari delle ASL sono tra i responsabili della formazione e dell'informazione rivolte ad allevatori, al personale del settore suinicolo, ai cacciatori e agli altri stakeholder. Attraverso corsi di formazione e campagne informative, i Veterinari pubblici, in collaborazione con altri Enti, veterinari aziendali e associazioni di categoria, educano gli operatori sulle corrette norme di biosicurezza, aggiornandosi ed aggiornando di conseguenza tutti gli interessati sulla base degli sviluppi normativi in materia e delle più recenti evidenze scientifiche. Questo approccio è essenziale per prevenire l’introduzione o la diffusione del virus e proteggere gli allevamenti.
La comunicazione con la popolazione è altrettanto importante: le ASL informano i cittadini sui rischi associati alla PSA e sulle misure da adottare per evitare contatti con animali selvatici. A tal proposito viene incessantemente prodotto materiale divulgativo esaustivo e di chiara lettura.
L’approccio integrato, che combina formazione, informazione e sorveglianza, è fondamentale per limitare l'impatto della PSA in Piemonte e nel resto d’Italia. All’interno di un contesto di fattiva collaborazione nella condivisione delle conoscenze, dei risultati delle attività di contrasto all’epidemia, nonché di tutte le nozioni necessarie ad affrontare situazioni emergenziali, è essenziale applicare il principio della “formazione a cascata”. Con particolare attenzione al target della formazione e/o dell’informazione, gli Educatori, di volta in volta, devono modulare l’attività perché sia proporzionata alle competenze e al bagaglio culturale dell’Utenza.
Anche i territori regionali liberi da malattia sono tenuti a programmare attività efficaci rivolte ad aumentare preparedness & awareness (preparazione e consapevolezza), riportando nei programmi destinatari, canali impiegati e tempistica di attuazione; oltre alla formazione (teorica), sono previsti esercizi periodici (pratici) di simulazione sulle varie fasi dell’emergenza. Le ASL programmano attività di formazione per il personale coinvolto nelle operazioni di ricerca attiva delle carcasse di cinghiali e nel depopolamento degli stessi, soprattutto in tema di biosicurezza; ancora, sono previste attività di informazione/comunicazione all’intera cittadinanza, relativamente ai rischi di diffusione del virus ad opera del fattore umano. Inoltre nell’ambito delle azioni strategiche per l’eradicazione contenute nel Piano straordinario di catture, abbattimento e smaltimento dei cinghiali già citato è prevista l’attivazione di corsi di formazione per gli operatori del settore agroalimentare relativi alle modalità di applicazione delle misure di biosicurezza.
Contestualmente, è previsto l’avvio di una campagna informativa sulla corretta modalità di gestione dei rifiuti finalizzata ad impedire ai suini selvatici di trovare fonti di sostentamento nei pressi dei centri urbani e degli allevamenti di suini, attraverso corsi di formazione, cartellonistica e campagne social.
Aggiornamenti sulla situazione epidemiologica:
Ministero della Salute: Storymap/Bollettino epidemiologico nazionale Peste suina africana
Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA): African swine fever – Geographic distribution
Aggiornamenti normativi nazionali e regionali
Ministero della Salute: Storymap/Bollettino epidemiologico nazionale Peste suina africana
Regione Piemonte: Regione utile – Contenimento della Peste suina africana
Piano nazionale di sorveglianza e eradicazione della Peste suina africana, Raccomandazioni per tutti / cacciatori / allevatori, Unità di crisi, Commissario straordinario alla PSA
Ministero della Salute: Salute degli animali – Peste suina africana
Sorveglianza, controllo e eradicazione della Peste suina africana nell’Unione europea
Commissione europea: PAFF Animal Health and Welfare committee meetings
Manuali operativi, diagnostici e documentazione tecnica
WOAH: Terrestrial Animal Health Code, Chapter 15.1. INFECTION WITH AFRICAN SWINE FEVER VIRUS
Che cos’è la Peste suina africana?
È una infezione virale che colpisce i soli suini domestici e selvatici (maiali, cinghiali e loro ibridi). Il virus non è trasmissibile all’uomo o ad altri animali, ma per i suini è sovente altamente infettiva e diffusiva; spesso causa gravi lesioni e porta rapidamente a morte finanche l’intero effettivo di un allevamento.
Il virus fa capo alla famiglia Asfarviridae e del genere Asfivirus (l’acronimo “ASF” sta per African Swine Fever, Peste suina africana in lingua inglese – PSA). I genotipi virali noti sono almeno 24; il genotipo 2 è diffuso in Eurasia e il genotipo 1 presente in Sardegna dal 1978. Questo complesso gruppo di virus a DNA non stimola la produzione di anticorpi neutralizzanti, fattore che rende estremamente arduo lo sviluppo di un vaccino per i suini.
Il virus è molto resistente e può sopravvivere per lunghi periodi nelle carcasse dei suini morti per PSA, nell’ambiente –in presenza, anche in tracce, di secreti e/o escreti prodotti da animali viremici– o in derrate alimentari a base di suino contaminate. Quest’ultima evenienza rappresenta un’importante fonte di contagio per i suini.
La malattia è pericolosa per me? E per il mio cane?
Assolutamente no. L’esposizione da parte dell’uomo, o di animali diversi dai suini, al virus della PSA non comporta rischi. L’uomo in particolare, però, può rendersi responsabile della diffusione del virus, anche a grande distanza, ma fungendo da “veicolo/vettore meccanico” e non “biologico” (non c’è una fase di replicazione/attività virale in organismi che non siano quelli dei suini), quindi non provocando in alcun modo sintomatologia.
Cosa succede se si mangia carne suina infetta da PSA?
I prodotti a base di carne suina possono essere consumati in sicurezza, in quanto il virus della PSA non è trasmissibile all’uomo. Ad ogni modo, occorre gestire correttamente i rifiuti per salvaguardare i suini da contatti con derrate potenzialmente contaminate.
È doveroso ricordare che in Unione europea vengono poste in essere le misure necessarie al contenimento delle epidemie, tra cui istituzione di zone soggette a restrizioni laddove vengano notificati focolai di PSA, abbattimento e distruzione dei suini nelle aree infette, divieto di movimentazioni in ingresso e in uscita di animali e prodotti (compresi i sottoprodotti), salvo deroghe – garantite a seguito di esito negativo ai test diagnostici ufficiali, eseguiti e validati presso laboratori ufficiali o trattamenti specifici dei sottoprodotti volti ad eliminare l’eventuale carica virale, eseguiti in stabilimenti autorizzati. Ulteriori controlli sanitari vengono poi effettuati di routine sull’intero territorio unionale –libero da malattia o meno– come le visite pre-macellazione e post-macellazione (visita ante e post mortem) allo scopo di assicurare l’eliminazione dalla catena alimentare di carcasse in cui vi sia anche solo il sospetto ispettivo/anatomo-patologico di PSA.
Come si trasmette la malattia?
Le vie di trasmissione del virus della PSA sono molteplici: nel continente africano il patogeno è primariamente veicolato dal morso di zecche infette del genere Ornithodoros, ma questa modalità di trasmissione ha significato scarso o nullo in Europa (le zecche in questione non sono distribuite abbastanza uniformemente sul territorio da sostenere l’infezione). I suini domestici e selvatici si contagiano primariamente per contatto diretto o indiretto con soggetti infetti. Ancora, essendo il virus molto resistente dal punto di vista chimico-fisico, l’ingestione da parte di suini di carni o prodotti a base di carne suina infetta (scarti di cucina, broda a base di rifiuti alimentari, carne e frattaglie di cinghiale) è alla base della diffusione della malattia, anche a notevole distanza, così come il contatto con qualsiasi oggetto contaminato dal virus, i cosiddetti “fomiti” (indumenti, veicoli, attrezzature, ecc.).
La circolazione di suini infetti, di prodotti alimentari a base di carne di maiale o cinghiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le cause più rilevanti di diffusione della malattia.
Quali sono i segni e i sintomi della PSA?
La PSA può presentarsi in forma iperacuta, acuta, subacuta o cronica. Per solito, in allevamenti di suini domestici mai venuti a contatto con il virus la morbilità (numero dei casi di malattia in un dato periodo in rapporto agli individui presi in esame collettivamente) raggiunge anche il 100% e, generalmente, i soggetti colpiti presentano in breve tempo febbre elevata (fino a 42 °C), perdita di appetito fino ad anoressia, debolezza del treno posteriore e conseguente andatura incerta, letargia e morte improvvisa. Ulteriori segni e sintomi riscontrabili sono: dispnea (difficoltà respiratorie) e ipersecrezione oculo-nasale, talora associata a epistassi (fuoriuscita di sangue dal naso), vomito, diarrea e/o costipazione, melena/ematochezia (sangue nelle feci digerito/indigerito), aborti spontanei, emorragie interne, arrossamenti, petecchie e soffusioni emorragiche cutanee evidenti –specialmente nei suini bianchi– su punta delle orecchie, coda, regione perineale, estremità distali, regioni ventrali di torace e addome.
La lesione più caratteristica della PSA è la splenomegalia emorragica: la milza, in sede di macellazione, prelievo ai fini diagnostici o durante l’autopsia, si presenta notevolmente aumentata di volume, di colore rosso scuro e consistenza friabile.
Quando è comparsa la PSA in Italia? Dove è diffusa?
La malattia è originaria dell’Africa dove è stata scoperta nel 1921. A partire dagli anni ’50 ha fatto la sua comparsa in Europa e 20’anni dopo in America. A fine anni ’90 la PSA è stata eradicata da numerosi Paesi di diversi continenti e la Regione Sardegna era l’unica area ancora endemica fuori dall’Africa. Nel 2007 l’infezione è stata segnalata nel Caucaso destando immediatamente l’allarme degli esperti a livello internazionale; da allora, la malattia ha trovato le condizioni ottimali per diffondersi, non solo nella fitta rete di allevamenti familiari –caratterizzati da scarsi livelli di biosicurezza–, ma anche attraverso le popolazioni di cinghiali a vita libera. Dal 2014 l’epidemia è dilagata in alcuni Paesi dell’Est dell’Unione europea, coinvolgendo oltre 10 Stati membri. A livello internazionale è ancora presente in Cina e in diverse aree del Sud-Est asiatico, in Papua Nuova Guinea e in alcuni Paesi dell’America centrale.
In Italia la PSA è stata segnalata nel 1967, 1969 e nel 1978; proprio dal 1978 è stata endemica in Sardegna –rimanendo sempre confinata a livello regionale– sino al 2024, dove, a seguito di un approccio di lotta alla malattia radicalmente rivisto negli ultimi anni, la situazione epidemiologica è costantemente migliorata, con alla fine il raggiungimento dell’eradicazione.
I primi di gennaio del 2022, però, un diverso genotipo virale rispetto a quello che era presente in Sardegna (e sovrapponibile ai virus circolanti in Est Europa) è stato rilevato in una carcassa di cinghiale rinvenuta nel comune di Ovada, in provincia di Alessandria (Piemonte). Nei giorni successivi il virus è stato confermato anche in diverse carcasse di cinghiale in Liguria, in provincia di Genova. A maggio dello stesso anno la presenza della PSA è stata accertata nel Lazio, e precisamente all’interno di una Riserva Naturale nella zona nord dell’area metropolitana di Roma, sempre da campioni sottoposti ad analisi ufficiali prelevati da una carcassa di cinghiale. A distanza di più di un anno da questi eventi, nel maggio del 2023, la malattia è stata confermata in Calabria in alcuni cinghiali nel comune di Reggio Calabria e in Campania. Il mese successivo è arrivata in Lombardia, in provincia di Pavia. Altre Regioni interessate dall’epidemia sono state poi l’Emilia Romagna e la Toscana.
La stragrande maggioranza dei casi di positività al virus sono stati riscontrati nei suini selvatici, ma non sono mancati, come da previsione degli esperti internazionali in materia, i focolai nei suini domestici, con oltre 50 allevamenti colpiti in tutta Italia.
Gli aggiornamenti sulla situazione epidemiologica della PSA a livello nazionale sono disponibili al seguente link.
Perché è importante contrastare la PSA?
Pur non essendo una zoonosi (malattia trasmissibile dagli animali all’uomo) o un’infezione che interessi animali diversi dai suini, la PSA costituisce una grave minaccia alla sanità e al benessere animale, alla biodiversità zootecnica e ha un pesante impatto socio-economico per i territori/Paesi colpiti. Le ingenti perdite per il settore suinicolo, mangimistico e le filiere collegate si ripercuotono non solo sul sistema economico, ma anche sulla “human dimension”, con potenziali ricadute di ordine sociale.
La normativa unionale, al fine di controllare la diffusione della malattia –e auspicabilmente di eradicarla– prevedono l’abbattimento e la distruzione dei suini domestici laddove venga riscontrato un focolaio e il blocco delle movimentazioni e della commercializzazione al di fuori dell’area infetta, compresa l’esportazione di prodotti a base di carne suina. Pensando alla forte vocazione italiana per le produzioni zootecniche suine di eccellenza, in particolare dei prodotti a marchio, apprezzati ed esportati in tutto il mondo, il danno economico da mancata vendita a Paesi terzi è enorme.
Che cos’è la Peste suina classica?
La Peste suina classica è un’infezione diversa dalla PSA. Colpiscono entrambe solamente i suini e causano negli animali infetti una grave sintomatologia; questa, specialmente nelle forme acute, può essere difficilmente distinguibile se non attraverso opportuni test diagnostici. I virus coinvolti sono profondamente diversi: la Peste suina classica è sostenuta da un virus a RNA a singola elica della famiglia Flaviviridae e genere Pestivirus, molto simile agli agenti causali delle malattie denominate “Diarrea virale bovina/malattia delle mucose” (BVD/MD) e “Border disease” (BD), e, soprattutto, per questa malattia è disponibile un vaccino; la PSA è causata da un virus “unico”, per cui sono state inventate classificazioni ad hoc: famiglia Asfarviridae e genere Asfivirus. Quest’ultimo virus è a DNA a doppio filamento ed è l’unico “Arbovirus” (virus a trasmissione vettoriale) noto costituito da questo acido nucleico (fatto che ha comunque significato scarso o nullo al di fuori del continente africano). Contro il virus della PSA non esiste un vaccino. Le caratteristiche di resistenza virali, le situazioni epidemiologiche e numerosi altri fattori sono differenti tra le due forme di Pesti suine; pur se l’Italia è indenne da Peste suina classica, alla luce della menzionata somiglianza tra forme cliniche acute date dalle due infezioni, è prevista un’attività di sorveglianza sul territorio nazionale per entrambe, modulata sulla base dei principi dell’analisi del rischio.
Come fa la PSA ad entrare in un allevamento?
Le caratteristiche di resistenza virali nonché le numerose modalità di trasmissione, rendono l’infezione da PSA facilmente diffusibile, anche, purtroppo, all’interno delle realtà zootecniche. Essendo ancora assente un vaccino efficace a scongiurare le forme cliniche nei maiali, l’unica forma di prevenzione attuabile consiste nel rispetto delle norme di biosicurezza, come da Piano nazionale di sorveglianza ed eradicazione della Peste suina africana e Decreto Ministeriale del 28 giugno 2022 (“Decreto Biosicurezza”). Il mancato rispetto delle adeguate misure di carattere sia strutturale che gestionale, può porre seriamente a rischio la salute degli animali all’interno di un allevamento, arrivando all’introduzione, alla diffusione e al mantenimento di patogeni alla base di malattie infettive ed infestive.
Fattori su cui porre particolare attenzione sono i contatti con i suini selvatici –primari responsabili del mantenimento del virus nell’ambiente e della sua diffusione, soprattutto in virtù delle notevoli distanze che i cinghiali possono arrivare a coprire giornalmente–, ma anche di altri animali (cani e gatti, roditori, altri selvatici, artropodi), le operazioni di pulizia e disinfezione in azienda, la corretta gestione delle norme igienico-sanitarie del personale, il divieto di somministrazione ai maiali di scarti di cucina, ecc.
Cosa devo fare se compaiono sintomi di malattia e/o elevata mortalità nei suini domestici?
Bisogna avvisare tempestivamente il Servizio veterinario dell’ASL territorialmente competente, senza mai avvicinarsi alle carcasse o consentire ad altri di farlo. Animali, mezzi e oggetti di qualunque natura all’interno dell’allevamento devono restarvi confinati sino all’intervento del Servizio veterinario, e, in particolare, alla comunicazione degli esiti diagnostici per scongiurare la presenza di PSA.
Cosa devo fare se trovo una carcassa di cinghiale?
Occorre contattare tempestivamente il Servizio veterinario dell’ASL territorialmente competente; raccogli le coordinate geografiche del luogo di ritrovamento e scatta una fotografia delle spoglie. Per l’ASL CN1 contatta il numero (+39) 348 0707878 o invia foto e coordinate su Whatsapp. Non toccare la carcassa e non avvicinartici troppo.
Gli addetti del Servizio veterinario intervengono con ogni consentita urgenza e provvedono ai campionamenti previsti per la sorveglianza diagnostica e avviano l’iter per il corretto smaltimento della carcassa di cinghiale.
In caso di focolai di PSA posso andare a caccia?
La normativa unionale prevede la sospensione dell’attività venatoria nelle aree infette; tale provvedimento si rende necessario per minimizzare il rischio di diffusione del virus della PSA attraverso l’aumento delle movimentazioni della fauna selvatica in corso di battute di caccia. Inoltre, cacciare in areali con circolazione virale attiva e in quelli limitrofi costituisce un’attività particolarmente a rischio, in quanto mezzi di trasporto, attrezzature, indumenti, scarpe e animali cacciati possono costituire un’importante fonte di contagio, anche a notevole distanza, sia per suini domestici che selvatici.
Per gli aggiornamenti normativi, compresi quelli in tema di gestione faunistico-venatoria in relazione alla PSA, è possibile consultare le risorse presenti al seguente link.
Quali controlli vengono effettuati sui suini?
Gli stabilimenti che detengono suini devono essere sottoposti a controllo da parte del Servizio veterinario dell’ASL territorialmente competente. Tale controllo comprende l’esame dei registri aziendali, profilassi per malattie infettive e diffusive dei suini, prelievi di campioni d’acqua d’abbeverata e di mangimi. Negli stabilimenti di macellazione, i suini subiscono una visita sanitaria ante mortem da parte di un Veterinario ufficiale (VU – afferente all’ASL). Una volta macellati, il VU sottopone le carcasse ad un’ulteriore ispezione; a sondaggio o in caso di sospetto, il VU può procedere all’effettuazione di campionamenti per la ricerca, ad esempio, di residui di sostanze farmacologicamente attive oppure di agenti patogeni. Anche negli stabilimenti che lavorano le carni di suini il VU garantisce la sorveglianza e il controllo sulla lavorazione delle carni stesse.
Non è possibile vaccinare gli animali per la PSA? E non basterebbe una terapia per i suini infetti?
Purtroppo ancora non sono disponibili vaccini o altri presidi immunizzanti per prevenire la PSA. Il fatto che il virus non stimoli la produzione di anticorpi neutralizzanti complica enormemente lo sviluppo di un vaccino. Altro fattore critico per il controllo delle epidemie da PSA consiste nella mancanza di trattamenti terapeutici specifici da poter impiegare negli animali infetti o sospetti tali.
Il rispetto della normativa unionale e nazionale in materia di PSA risulta l’unica opzione per mitigare il rischio di introduzione e diffusione del patogeno sia nei suini domestici che nei selvatici.
Per quanto tempo rimane attivo il virus della PSA negli alimenti contaminati? Più in generale, cosa si intende per “resistente”?
Il virus della PSA, da prove sperimentali, è risultato essere molto resistente alle temperature (viene inattivato a 56 °C per 70 minuti e 60 °C per 20 minuti) e al pH (viene inattivato a pH inferiori a 3,9 e superiori a 11,5). Può sopravvivere per lunghi periodi nei tessuti corporei –ivi inclusi gli alimenti da questi prodotti– di animali infetti, così come in secreti ed escreti, se protetto dai raggi ultravioletti e specialmente in presenza di basse temperature ambientali. Il siero di sangue prelevato da soggetti viremici rappresenta una potenziale fonte di contaminazione, essendo il virus capace di sopravviverci per ben 18 mesi a temperatura ambiente. Nel sangue refrigerato sopravvive per 6 mesi, nel sangue a 37 °C per un mese. Nelle carni refrigerate resiste per almeno 15 settimane, 3-6 mesi nei prosciutti e salsicce non cotte o affumicate ad alte temperature. Per queste ragioni, carni crude, essiccate e carcasse di suini devono essere considerate possibili fonti di mantenimento e diffusione dell’infezione.
Ancora, molti comuni disinfettanti non sono efficaci contro il virus della PSA ed è importante impiegare prodotti appositamente testati e approvati per questo patogeno, come da Manuali operativo.